La Storia

L’enogastronomia, ancora in tempi recenti, ha sofferto della parte tossica dell’eredità lasciata agli Italiani dall’idealismo classista dominante nella cultura nazionale del Novecento e nella scuola. Negli anni trascorsi all’Alberghiero di Molfetta sono innumerevoli le volte in cui ho dovuto difendere la vocazione di giovani talenti appassionati del settore dal pregiudizio delle loro famiglie e dei loro docenti di primo ciclo, convinti del fatto che uno studente bravo non potesse trovare la sua giusta collocazione in questa scuola. Ma si tratta di un errore che parla della falsa relazione che funziona nella testa di molti tra un lavoro e un altro, come se contasse essere medico piuttosto che cuoco, avvocato piuttosto che cameriere e non contasse invece, per un medico così come per un cuoco, per un avvocato così come per un cameriere, saper fare bene il proprio mestiere. Come ricorda Massimo Montanari, nel suo celebre, Il cibo come cultura, Ippocrate e molti altri medici e filosofi antichi definirono il cibo “cosa non naturale” (Res non naturalis) perché lo consideravano fra i fattori della vita che non appartengono all’ordine “naturale”, bensì a quello “artificiale” delle cose. Cioè, alla cultura che l’uomo stesso costruisce e gestisce, frutto del lavoro, delle tecniche, dei saperi che si trasmettono di generazione in generazione e che rappresentano, per così dire, l’interfaccia fra l’uomo e il mondo in cui l’uomo stesso si trova a vivere.  Questa connotazione culturale accompagna il cibo lungo tutto il percorso che lo conduce alla bocca dell’uomo. Il cibo è cultura quando si produce, perché l’uomo non utilizza solo ciò che trova in natura (come fanno tutte le altre specie animali) ma ambisce anche a creare il proprio cibo, sovrapponendo l’attività di produzione a quella di predazione. Il cibo è cultura quando si prepara, perché, una volta acquisiti i prodotti base della sua alimentazione, l’uomo li trasforma mediante l’uso del fuoco e un’elaborata tecnologia che si esprime nelle pratiche di cucina. Il cibo è cultura quando si consuma, perché l’uomo, pur potendo mangiare di tutto, o forse proprio per questo, in realtà non mangia tutto bensì sceglie il proprio cibo, con criteri legati non solo alla dimensione economica e a quella nutrizionale del gesto, ma anche a valori simbolici di cui il cibo stesso è investito. Attraverso tali percorsi il cibo si configura come elemento decisivo dell’identità umana e come uno dei più efficaci strumenti per esprimerla e comunicarla. Scegliere l’alberghiero significa costruire un patrimonio culturale articolato e complesso, che non si acquisisce solo con il palato, bensì anche con gli occhi, col naso, col tatto e persino con l’udito, che non si struttura solo attraverso i libri e la teoria, ma anche attraverso la pratica e l’esperienza. Significa conoscere i valori originari di un territorio, comprenderne meglio la storia e le tradizioni, focalizzare le relazioni sociali, politiche ed economiche che lo governano. Per fare bene l’alberghiero bisogna essere bravi, molto bravi. Con una particolarità non irrilevante, tuttavia: proprio perché l’enogastronomia è un mondo così complesso, ciascuno ottiene i propri risultati in proporzione al proprio talento e al proprio impegno, ma senza gerarchie tra gli stili cognitivi di ciascuno, cioè senza gerarchie  tra gli strumenti dell’apprendimento. All’alberghiero imparano tutti: quelli che vogliono leggere libri e quelli che vogliono manipolare qualcosa in un laboratorio. L’Alberghiero è un luogo democratico di cultura.

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Secondo il rapporto annuale della Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi (FIPE), nel 2019, le imprese di ristorazione sono 336mila, di cui quasi una su tre gestita da donne, i bar 148mila. Il giro d’affari di bar e ristoranti è stato di 86 miliardi di euro. Per quanto riguarda il settore turistico, invece, secondo l’Agenzia Italiana del Turismo (ENIT), l’Italia è stata, nel 2019, il quarto Paese più visitato al mondo con 94 milioni di visitatori, con un numero pari a 217,7 milioni di presenze straniere e con 432,6 milioni di presenze totali. Secondo stime della Banca d’Italia del 2018, il settore turistico genera direttamente più del 5% del Prodotto Interno Lordo nazionale (il 13% considerando anche il PIL generato indirettamente) e impiega il 6% degli occupati. Scegliere l’alberghiero significa scegliere una professione che quanto nessun’altra oggi parla dell’Italia nel mondo e che come nessun’altra offre possibilità di inserimento lavorativo. Secondo i dati della Fondazione Agnelli, nel suo Eduscopio 2020, il 65,2% dei diplomati dell’Alberghiero di Molfetta hanno un contratto di lavoro entro 12 mesi dalla fine degli studi. Sono gli stessi dati delle più importanti facoltà universitarie italiane.

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L’Istituto Professionale di Stato per i Servizi di Enogastronomia ed Ospitalità Alberghiera di Molfetta ha cominciato a svolgere la sua attività nell’anno scolastico 1988/89. Nell’anno scolastico 2000/01 ha acquisito l’autonomia divenendo punto di riferimento sul territorio per la formazione nei settori dell’enogastronomia e dell’ospitalità alberghiera, fino ad essere incluso, nel 2007, all’interno del Secondo Rapporto EURISPES, tra le eccellenze italiane. I suoi alunni si sono distinti negli scorsi anni nelle competizioni di settore in Italia e in Europa. Oggi accoglie, nei suoi due plessi, 71 classi e più di 1.700 alunni, provenienti da un bacino territoriale esteso che va da Bitetto e Palo del Colle fino ad Andria e Barletta, passando per la periferia nord del capoluogo, Bitonto, Giovinazzo, Molfetta, Terlizzi, Ruvo, Bisceglie. L’eccellenza raggiunta è frutto di un’attenta attività di aggiornamento dei docenti e della costante progettazione e realizzazione di attività volte a sviluppare la qualità dell’Offerta Formativa. Nell’ottica di mettere in campo un curricolo di studi sempre più ricco e orientato al mondo del lavoro, l’Istituto ha avviato programmi di perfezionamento linguistico all’estero, incontri professionalizzanti con aziende e consorzi agroalimentari, laboratori finalizzati ad approfondire tecniche di cucina specifiche come ad esempio l’arte del pane. Tutto è proiettato in una dimensione internazionale. Per l’inserimento lavorativo dei propri studenti la scuola, con il progetto “ME.M.O.R.Y.”, finanziato dall’Unione Europea, dal 2017 al 2019 ha offerto a 100 giovani neodiplomati di svolgere specifici tirocini in aziende estere – in Spagna, Inghilterra, Malta e Belgio – nel settore turistico e agroalimentare. Gli alunni dell’Alberghiero di Molfetta sono persone addestrate all’agone della vita attraverso il gioco dei concorsi (per esempio il Cocktails and Dreams in collaborazione con la storica distilleria DOMENIS1898 di Cividale del Friuli o il Concorso Interno Enogastronomico). Gli alunni dell’Alberghiero di Molfetta sono persone sensibili alla bellezza, in grado di apprezzare e interpretare, come accade durante le Giornate dell’Arte e della Creatività Studentesca, la dimensione immateriale del vivere bene.

Il Dirigente Scolastico

prof. Antonio Natalicchio

 

LA STORIA

Nel 1988 ebbe inizio la storia dell’IPSSAR di Molfetta con la formazione di alcune classi presso l’IPC come sede staccata dell’IPSSAR “Perotti” di Bari.

In quell’anno l’istituto era ubicato presso quella che oggi è l’attuale sede dell’INPS di Molfetta e in un primo momento non furono attivate le lezioni tecnico-pratiche.

Dopo qualche mese l’Istituto si trasferì al primo piano del Seminario Regionale e le lezioni tecnico-pratiche venivano effettuate presso la cucina dell’Istituto per Anziani annesso alla Basilica della Madonna dei Martiri.

Verso la fine del primo anno il Comune, con l’allora Sindaco il dott. Enzo De Cosmo, affittò i locali di quella che un tempo era la sala ricevimenti “La Bussola”.

Ci fu un’inaugurazione in grande stile, alla quale prese parte anche l’allora Ministro della Pubblica Istruzione Bianco.

I soli Indirizzi che furono attivati in quegli anni furono Sala-Bar e Cucina e solo in seguito venne attivato anche l’indirizzo Ricevimento.

Nel 1998 l’IPSSAR di Molfetta, che nel frattempo si era stabilito presso la sede dell’ex maglieria “Magen” in via Giovinazzo, si stacca dal “Perotti” di Bari e l’istituto viene aggregato all’IPSIAM con il preside prof. Gagliardi.

Nell’A.S. 2000-2001 comincia la storia dell’IPSSAR di Molfetta come istituto autonomo, con la presidenza del prof. Pellegrino de Pietro.

Quelle poche sezioni iniziali hanno raggiunto nel 2000 il numero di 50 classi.

Indubbio è il grande impegno e l’eccezionale professionalità del corpo Docente ed ATA, giunto in quell’anno ad oltre 120 elementi, che ha permesso tale salto di qualità.

Da qui in poi l’Istituto Alberghiero ha saputo imporsi come punto di riferimento per tutto il territorio del Nord Barese.

Gli eccezionali traguardi raggiunti da questa Amministrazione Pubblica non sono una auto-celebrazione, ma un dato di fatto supportato da cifre e pubblici riconoscimenti. Sono la comunità in cui opera l’Istituto, il territorio, le famiglie, a far si che questa Istituzione sia oggi un punto di riferimento e di indirizzo. Sono loro che ne celebrano giorno per giorno l’importanza data soprattutto da un motivo ispiratore condiviso: la formazione dello studente come uomo.

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